La restaurazione del dominio sabaudo
Arco di Piazza: dal 1580 a oggi

Il clima politico e sociale del Cinquecento non favorì le arti. Oltre all’Arco di Piazza, poche sono le opere di rilievo che quel periodo ha lasciato dietro di sé, quasi tutte concentrate nella Collegiata (o Duomo).

Nel 1580, in vista della visita di Emanuele Filiberto, la città eresse in suo onore l’Arco di Piazza.

1. L’attività edilizia

a cura di Antonio MIGNOZZETTI

Il contesto politico, economico e sociale del Cinquecento, non è il più adatto per lo sviluppo, anche artistico, della città. Tutta l’attività edilizia del secolo consiste, infatti, quasi esclusivamente nei lavori per il rafforzamento delle opere difensive e per la costruzione di nuovi bastioni promossi dal generale Brissac. L’unico edificio civile di una certa importanza vede la luce nel 1580, ed è l’Arco di Piazza, costruito in onore di Emanuele Filiberto ma poi, dopo la morte di questi avvenuta in quello stesso anno, “riciclato” in onore di Carlo Emanuele I. Nessuna nuova costruzione di carattere religioso, ma rifacimenti e ampliamenti interessano la fabbrica del Duomo.

1.1. La fabbrica del Duomo tra Quattro e Cinquecento

Da MIGNOZZETTI A., Il Duomo di Chieri, Notizie storico-religiose, Chieri, 2012.

A cavallo del Quattrocento e del Cinquecento, la chiesa della Collegiata di S. Maria (il Duomo, sec. XV) conobbe importanti rifacimenti ed ampliamenti. Nel 1478 il presidente del Senato conte Giorgio Bertone, con il consenso del Capitolo, iniziò a costruire una nuova e più ampia sacrestia attigua alle cappelle di Santa Caterina e di Santa Basilissa “la vecchia”, all’inizio della navata sinistra, opera che fu terminata prima del 1505, come risulta da vari documenti che in quell’anno la descrivono già in uso.

Nel 1492 il Capitolo decise di portare a termine, finalmente, la costruzione del campanile che, iniziato nel secolo XIV, non era ancora completato.

Fra il 1501 e il 1516 il conte Giorgio Bertone, probabilmente in collaborazione con il canonico Enrico Rampart, raddoppiò il presbiterio portandolo da una a due campate, e nella seconda, fra l’altar maggiore e l’abside, trasferì il coro, togliendolo alla sua posizione originaria all’inizio della navata centrale.

Probabilmente per coronare l’opera di trasformazione dell’area presbiteriale, il Capitolo fece costruire un nuovo altar maggiore in sostituzione di quello che, con ogni probabilità, era stato mutuato dalla Collegiata landolfiana. Fu consacrato il 27 settembre 1518 da mons. Bernardino da Prato, vicario generale della diocesi di Torino. Forse in questa stessa occasione il vecchio altare fu posto contro la parete sinistra del presbiterio.

Alla stessa data potrebbe farsi risalire anche la collocazione sopra di esso del tabernacolo marmoreo del Sanmicheli: infatti la visita pastorale del 1503 non ne fa parola, mentre ne fa cenno la visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi (1584).

Forse fu in questo stesso arco di tempo che i Tana rimisero mano alla sistemazione del Battistero, spostandone l’ingresso dalla cappella ovest a quella sud, rialzandone il pavimento al livello di quello della chiesa e perfezionando la comunicazione fra i due edifici”.

1.2. La costruzione dell’Arco di Piazza

Nel panorama della vita pubblica piemontese la costruzione, nel 1586, dell’Arco di Piazza di Chieri non fu un episodio isolato ma si inquadrava in un costume affermatosi su vasta scala nel Cinquecento. In quel periodo, infatti, la riscoperta del mondo classico aveva suscitato un rinnovato interesse per gli archi trionfali dell’antichità, come quello di Tito a Roma, o quelli di Pola, Benevento ed Ancona e, nell’Italia del Nord-Ovest, quelli di Susa e di Aosta.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: Arco di Piazza: dal 1580 a oggi.

1.3. Palazzo Tana

Scrive Elisabetta Lamberto in Il palazzo dei Tana a Chieri (2002):

“L’attuale Palazzo Tana di via Principe Amedeo viene citato per la prima volta nella Consegna presentata da Baldassarre Tana al Registro della Comunità di Chieri per il catasto del quartiere Arene del 1533 come aliam domum novam. Nel 1579 compare per la prima volta Ercole Tana, figlio primogenito di Baldassarre, detentore di numerose proprietà. Ercole dichiara come primo possedimento una casa di sua abitazione come Pallazzo Nuovo.(…). La magnificenza del palazzo e la ricchezza dei suoi interni palesano l’importanza raggiunta da Ercole Tana in quegli anni. È probabile che Ercole gestisse gli affari di famiglia ed avesse un ruolo importante anche all’interno della vita pubblica cittadina”.

I cicli affrescati di Palazzo Tana sono illustrati nel medesimo libro e analizzati da Claudio Bertolotto (ibid., pp. 57 sgg.):

“Verosimilmente alla fine del Cinquecento risale la decorazione pittorica del soffitto della grande sala d’angolo a pianterreno, con il sottostante fregio in cui erano rappresentate le dodici Fatiche d’Ercole (purtroppo ne sopravvivono solo tre, frammentarie)”.

1.4. Le finestre in cotto

Nella galleria seguente si possono notare ampie finestre quadrangolari, per lo più quadripartite e dotate di eleganti cornici in cotto, illuminano nel Cinquecento le case signorili. Nelle foto: finestre dei palazzi Costa (via San Domenico), Visca (via Visca) e della casa dei Canonici della Collegiata (via Principe Amedeo)

2. Arti figurative

a cura di Antonio MIGNOZZETTI

Qualche eco di Rinascimento

Quella che abbiamo definito “una stagione di precoci rifacimenti e ampliamenti” di settori importanti della Collegiata, avvenuta dopo pochi decenni dalla sua ricostruzione, coincise cronologicamente con il periodo di fioritura dell’arte rinascimentale. Il Piemonte, sia pure tardivamente, si stava aprendo alle novità provenienti da Firenze e da Roma e anche Chieri aveva salutato l’arrivo di pale di artisti sensibili alle nuove tendenze, come Martino Spanzotti. Proprio grazie alla accennata fase di parziali rifacimenti, l’arte rinascimentale entrò discretamente anche nella Collegiata di Chieri, lasciandovi poche, isolate, ma splendide gemme, incastonate in una “montatura” rimasta integralmente gotica: la cosiddetta pala Tana del Battistero, attribuita a Gomar Davers e Francesco Berglandi, il Tabernacolo del Salvatore del Sanmicheli, e due quadri cinquecenteschi di autori ignoti. Il primo, è la Natività che si trova nella terza cappella destra. Il secondo, è la Madonna con il Bambino, le sante Lucia e Apollonia e un devoto, che funge da pala nella chiesetta di S. Lucia, quadro che un documento dell’archivio della Confraternita di S. Croce data al 1601, ma che rivela un gusto spiccatamente cinquecentesco.

Pochi dunque i prodotti delle arti figurative, anche se si tiene conto di quelli che si trovavano nelle chiese di S. Francesco, S. Agostino e della Consolata, andate distrutte nel secolo XIX.

Per tornare a vedere qualcosa di artisticamente significativo nel campo dell’arte, bisogna avere pazienza ed aspettare il secolo seguente.

2.1. La pala dei Tana

Il Battistero del Duomo di Chieri, già reso artisticamente ricco dalla presenza degli affreschi di Guglielmetto e della statua della Madonna del Melograno, è ulteriormente impreziosito dal bel polittico dell’altare. Fu fatto eseguire (come recita la scritta ai piedi della figura di S. Giovanni Battista) da Ludovico e Tomeino Tana in memoria del fratello Tommaso, cavaliere di Malta, morto nel 1503 in una battaglia navale contro i Turchi.

Nella fascia inferiore, la parte centrale è dominata dalla Natività, affiancata dai santi Giovanni Battista e Tommaso. Nella parte superiore, S. Girolamo e S. Giorgio fiancheggiano una Madonna col Bambino benedicente. Il polittico era corredato di due ante, dipinte a loro volta, che al tempo del Bosio esistevano ancora ma che in seguito sono andate perdute.

Ed è proprio merito di Antonio Bosio se conosciamo i probabili autori del polittico. Lo storico, infatti, dichiara di averne letto i nomi su una delle due ante: “Francisc. Berglandi et Gomar Davers. Faciebat”.  Egli, in realtà, attribuiva ai due artisti solo le ante, ritenendo il resto opera di Martino Spanzotti o di Defendente Ferrari. Oggi viene escluso l’intervento dei maestri vercellesi e tutto il polittico viene attribuito al Davers e al Berglandi. Due personaggi dei quali possediamo notizie biografiche sconfortantemente vaghe.

Gomar Davers

È un illustre sconosciuto al quale, oltre alle tavole inferiori del nostro polittico, la critica attribuisce una “Adorazione del Bambino e due santi” del Museo Civico di Torino. Tutto qui.

È un artista dalle evidenti ascendenze stilistiche nordiche. Il Bosio, forse influenzato dal nome (Davers = d’Anvers?), lo dice fiammingo. Alessandro Baudi di Vesme, al contrario, è incerto se considerarlo spagnolo o napoletano, essendo a conoscenza di documenti secondo i quali un altro pittore Gomar, di nome Franciscus, nel 1433 operava a Barcellona e un terzo, di nome Antonio, nel 1453 era intagliatore a Napoli.

Francesco Berglandi

Secondo Antonio Bosio, anche lui, come Gomar Davers, sarebbe originario delle Fiandre. Ma vi sono documenti, riportati dal Vesme, che lo definiscono, insieme ai figli Giovannino e Angelino, “di Chieri” o “di Mombello”. Questo ha convinto qualche storico, come Guido Vanetti, a ritenerli nati a Chieri o a Mombello. Per Baudi di Vesme, invece, “il Bosio ha forse ragione nel dichiarare che il Berglandi era fiammingo”, e che era detto “di Chieri” “forse avuto riguardo della sua residenza”. Comunque, quale che sia la sua origine, ha ragione Oreste Santanera nel sostenere che la sua formazione non è né fiamminga né piemontese, ma rivela la frequentazione di ambienti artistici franco-provenzali.

2.2. Un tabernacolo dalle origini incerte

Sopra l’altare del transetto destro (o cappella di S. Antonio Abate), campeggia un monumentale tabernacolo di marmo bianco che, prima dei restauri ottocenteschi, era collocato nell’abside, dietro l’altar maggiore. “Questo lavoro della prima metà del secolo XVI – scrive il Bosio – porta scolpiti in bassorilievo, di buon disegno e con belle sagome, come si facevano ancora in quell’epoca, diversi fatti della vita di N. Signor Gesù Cristo; la Lavanda dei piedi cioè, la Cena, il Calvario colla Madonna e S. Gio. Evangelista, la Risurrezione, vi è ripetuta un’altra istituzione del divin Sacramento con figure più alte: vi fanno corona le figure dei Profeti e delle Sibille che annunziarono la venuta di Cristo… Nella sommità vi è Cristo risorto: nel piano inferiore vi è Cristo disteso nel sepolcro: lateralmente vi sono le statuine dei santi Giuliano e Basilissa… ”.

Di questo tabernacolo, una delle opere scultoree più importanti del Duomo, non si conosce la provenienza. Motivo per cui esso è da sempre al centro di un dilemma: è veramente un’opera di Matteo Sanmicheli o, piuttosto, è da identificarsi con quello eseguito nel 1459 per il Duomo di Torino da Antonio Trucchi da Beinasco e che, rimosso in occasione dei restauri che quella chiesa subì nel 1492, per vie misteriose è approdato a Chieri?

La seconda tesi ha avuto accesi sostenitori. Nel 1887, Tommaso Chiuso la sposa con convinzione, nel suo libro sulla Chiesa in Piemonte: “Si potrebbe forse supporre – argomenta lo storico – che un lavoro a cui il Capitolo si applicò con tanta cura e con spesa così considerevole, sia andato disperso? Vegga dunque chi mi legge, se non sarebbe per avventura quello che abbiamo descritto nel duomo di Chieri”. E a sostegno della sua ipotesi porta diversi argomenti, fra cui gli stretti rapporti esistenti fra il Capitolo di Chieri e quello di Torino[i]. Anche il Valimberti, nel 1928, la sostiene a spada tratta. Essa, infatti, è accattivante, perché, se fosse vera, risolverebbe il mistero della scomparsa dell’opera del Trucchi della quale, dal momento della sua rimozione dal Duomo di Torino, non si è saputo più nulla. Ma sia il Chiuso sia il Valimberti, a sostegno della loro convinzione portano esclusivamente indizi e argomenti di ragionevolezza, ignorando l’analisi stilistica. La quale, invece, dà ragione a coloro, e sono i più, che attribuiscono il tabernacolo al Sanmicheli: “Confrontando il detto altare o tabernacolo col disegno originale dell’Oratorio in marmo fatto per ordine del Comune di Torino nel 1528… – è il parere di Antonio Bosio – io credo di non allontanarmi dal vero attribuendo questo bellissimo altare di Chieri al medesimo maestro che fece l’Oratorio di Torino, cioè Matteo di San Michele, villaggio presso Verona”. “Non si hanno documenti che palesino l’autore di questo tabernacolo – aggiunge il Baudi di Vesme – ma al loro difetto si può questa volta facilmente supplire con l’esame dello stile. Chiunque, dopo aver bene studiate le opere di Matteo Sanmicheli… le paragoni con l’icona marmorea del Duomo di Chieri, non potrà, credo, disconvenire che questa è parto della medesima mente e dello stesso scalpello che produsse le altre”. Dello stesso parere sono molti altri studiosi, fra cui Mallè, Cavallari-Murat ed altri.

“Magister picha pietra”

Nato in una famiglia di architetti militari e di scultori, cugino del ben più famoso architetto Michele (concorrente e talvolta collaboratore del Palladio e del Sansovino), nato a Verona ma detto anche “artefice di Milano pel soggiorno ivi fatto, Matteo Sanmicheli era, in realtà, originario di Porlezza, località sul lago di Lugano.

Nemmeno di lui (sembra un destino degli artisti del Cinquecento che hanno operato a Chieri!) abbiamo molte notizie biografiche certe. Si pensa sia nato attorno al 1480 e sia vissuto almeno fino al 1534. Si formò nell’ambito della sua e delle altre famiglie di scultori luganesi, attive in Veneto e in Lombardia. Fu una figura di primo piano nel panorama artistico del primo Cinquecento: il Bosio avverte di non lasciarsi ingannare dal fatto che egli venga talvolta “detto troppo modestamente Magister picha pietra”, poiché ”in allora non vi era tanta presunzione di titoli”.

Pur avendo operato anche altrove, perfino nella chiesa di S. Maria del Popolo a Roma, la maggior parte della sua attività artistica si svolse in Piemonte, concentrandosi in quattro poli: Torino, Casale, Saluzzo e Chieri.

A Torino, nel 1528, su commissione del Comune, eseguì l’Oratorio del Corpus Domini, destinato a conservare l’Ostia del Miracolo (prima custodita in Duomo, nel già citato tabernacolo scolpito da Antonio Trucchi da Beinasco). La cappella fu demolita nel 1607, per far posto alla chiesa del Vittozzi ancora esistente. Sempre a Torino, nel Duomo, sua è la tomba dell’arcivescovo Claudio Seyssel.

A Casale Monferrato, oltre a confermarsi raffinato autore di splendidi monumenti funebri e bassorilievi, fu anche architetto: il Vasari gli attribuisce, fra l’altro, il progetto delle mura della città.

A Saluzzo fu scultore ufficiale del vicario generale Francesco Cavassa, per il quale eseguì  lavori nel palazzo di famiglia e in varie chiese della città e dei dintorni.

A Chieri Sanmicheli lasciò varie opere, un tempo tutte nel Duomo. Oggi, ne sono rimaste solo due: una è il già citato tabernacolo del Salvatore del transetto destro. L’altra, collocata sulla parete sinistra della cappella del Corpus Domini, è la bianchissima lapide marmorea di Agamennone Scotti, dove sono scolpiti due putti alati che sorreggono gli stemmi degli Scotti e dei Piossasco. Le pietre tombali di Bernardino di Prato, Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, e di Domenico Broglia, prevosto di Ivrea e morto nel 1554, sono finite a Torino, nel Museo di Arte Antica di Palazzo Madama dove (bisogna riconoscerlo), con i restauri terminati nel 2006, hanno ricevuto una sistemazione di tutto rilievo.

2.3. Due acquasantiere di marmo bianco venato

Sono collocate in fondo alla navata centrale, simili nel disegno a molti altri visibili nelle chiese piemontesi ma realizzate con rara finezza. In quella di destra il fusto, diviso in due parti da un nodo, è scolpito a motivi vegetali e il cratere riproduce la corolla di un fiore. Sul bordo è scolpito lo stemma dei Piossasco e la data 1573. Secondo il Valimberti fu fatto eseguire dal prevosto Vincenzo di Scalenghe. Opinione condivisa dal Bosio. Di quella di sinistra, molto simile alla precedente, non abbiamo notizie. Sul davanti del cratere è impresso uno strano segno che sembra composto dal monogramma costantiniano e dalla lettera G. Sulla parte opposta uno stemma sconosciuto.

2.4. Dossali della sacrestia

Gioielli rinascimentali sono anche i dossali lignei della sacrestia, dalle lesene e dai capitelli finemente scolpiti con figure vegetali, animali ed umane, intercalate da stemmi e motti.

Nonostante tali “novità”, la Collegiata mantenne intatta la sua struttura gotica, con le pareti e le volte austere, intonacate ed imbiancate. Imbiancatura che fu rinnovata alla fine del Cinquecento: mons. Angelo Peruzzi, visitatore apostolico nel 1584, “…passando in rassegna tutta la chiesa constatò che era molto ampia e vasta e sana nelle sue strutture, ma poiché le sue pareti erano tutte scurite a causa della polvere, ordinò che la chiesa venisse tutta imbiancata”. Alcune delle maggiori famiglie provvidero ad imbiancare a proprie spese, una ciascuna, le campate della navata centrale e del transetto: Andrea e Baldassarre Buschetti la crociera, dove avevano l’altare e la tomba di famiglia; Antonio e Adriano Balbiano la prima campata; Baldassarre Tana la seconda; Bernardino Tavano la terza; la famiglia Visca la quarta.

3. Chiese, conventi e ospedali nella seconda metà del Cinquecento

1551 – Enrico II, re di Francia decreta l’unione delle confraternite e degli ospedali di Chieri all’Ospedale di Santa Maria della Scala, che prende il nome di Ospedale Maggiore

1576 – La chiesa di San Guglielmo viene affidata alla Confraternita dello Spirito Santo

1577-78 – Parzialmente ricostruito dal precettore Bernardino Lunello di Cherasco il convento di S. Antonio

1577 – Nasce nella cappella di San Pietro presso il convento di S. Andrea la Confraternita della Misericordia

1582 – Inizia la costruzione, con l’aiuto di Carlo Emanuele I, del convento dei Cappuccini sulla strada di Pecetto

1584 – Documentato il passaggio a Chieri di Luigi Gonzaga

1584 – Visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi

1592 – La Confraternita di S. Croce (a fianco della Casa dell’Elemosina, via Cottolengo angolo via Balbo) si trasferisce nella cappella di S. Lucia a lato del Duomo

1598 – Epidemia di peste

1599-1606 – Costruzione ad opera del Comune della cappella di San Rocco, per adempiere ad un voto fatto durante la peste

4. Bibliografia ragionata

  • BRANCATI L.E. (a cura), Il palazzo dei Tana. Storia, arte, progetto e restauro, Riva presso Chieri, 2002, p. 95 sgg. sulle decorazioni in terracotta a cura di Donato G.; p. 57 sgg. sui cicli affrescati a cura Bertolotto C.; p. 23 sul contesto urbano alla fine del Rinascimento a cura Bonardi C.
  • CAVALLARI MURAT A., Antologia monumentale di Chieri, Torino, 1969, in particolare la IV e la V parte su Umanesimo e Rinascimento
  • CHIRI PIGNOCCHINO E., La storia del tessile chierese nel XVI secolo, in Chieri e il tessile, Chieri, 2007 per la riproduzione di particolari dei dossali del Duomo e della cassa-reliquiario dei santi Giuliano e Basilissa
  • DI MACCO M.- ROMANO G., Arte del Quattrocento a Chieri, Torino, 1988 con articoli sulla Pala Tana di M. di Macco e di A. ed N. Pisano
  • MIGNOZZETTI A, Il Duomo di Chieri. Notizie storico-religiose. Chieri, 2012, pp. 74-81, cap. 3 “Fermenti sotto le volte gotiche”; p. 107 sgg. sulla sistemazione del coro
  • MIGNOZZETTI A., Un secolo in tono minore: il Cinquecento, in Artisti nel Duomo di Chieri, Chieri, 2007, pp. 37-42
  • VANETTI G., Chieri. Dieci itinerari tra Romanico e Liberty, Chieri, 1994

 

La restaurazione del dominio sabaudo
Arco di Piazza: dal 1580 a oggi